L'ultimo film di Cronenberg non è la trascrizione in immagini della trama (inesistente) del "romanzo" (tra virgolette, in quanto privo di qualsiasi progressione drammatica: un mosaico di sensazioni, d'organizzazione di segni, piuttosto) di William Burroughs.
Come BARTON FINK, come KAFKA di Soderbergh, film ai quali si apparenta per più di una ragione, è un tentativo di analizzare la difficoltà, l'angoscia, lo spasimo della creazione artistica: "uno scrittore non può che descrivere ciò che i suoi sensi percepiscono nell'istante della scrittura. Non sono che un apparecchio di registrazione."
Da un lato, la trascrizione biografica dello scrittore caro a tutta le generazione beat, dopo l'omicidio involontario della moglie Joanne. Dall'altro, una specie di collage psichedelico delle allucinazioni dell'autore, un tentativo di fissare sulla pellicola le divagazioni in presa diretta dalla mente allucinata dello scrittore. Quelle divagazioni che condussero ad una prosa organica e, nel rifiuto dell'aneddoto, lontana dall'usura del tempo.
Gli abusi di droghe immaginarie (polvere d'insetti, carne nera, Mugwump Jisom) ricordano i fratelli Mantle di DEAD RINGERS, pure dipendenti dagli allucinogeni per superare la loro crisi d'identità. Le macchine da scrivere-insetto, i mostri rinviano alle mutazioni genetiche di LA MOSCA.
Tratto da una letteratura "impossibile", arduo ed ambizioso, IL PASTO NUDO non poteva essere che interessante: e parzialmente compiuto.